La Rivolta del Giovedì Grasso

La rivolta del giovedì grasso

La rivolta del Crudele Giovedì Grasso del 1511 è uno degli eventi più drammatici e significativi della storia del Friuli. Una regione che, all’epoca, viveva una forte tensione sociale e politica. Esplosa nel cuore del Rinascimento, l’insurrezione contadina rappresenta uno dei moti più rilevanti dell’Italia di quel periodo, con radici profonde nella condizione di oppressione in cui viveva la popolazione friulana.

Il malcontento in Friuli tra XV e XVI secolo

A cavallo tra il XV e il XVI secolo, il Friuli era una terra martoriata da tensioni. La regione, sotto il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia, viveva in uno stato di profonda disparità sociale. Il governo veneziano non considerava il Friuli alla pari con altri territori. Questo si rifletteva nelle condizioni economiche e sociali del popolo, soprattutto nelle zone rurali. La nobiltà locale, sempre in lotta tra famiglie rivali, si arricchiva sfruttando il lavoro dei contadini, aumentando tasse e obbligando la popolazione a partecipare a scontri armati.

I contadini, esausti dai continui soprusi e dal pesante carico fiscale, iniziarono a mostrare segni di ribellione. Le tensioni non si limitarono ai conflitti tra classi sociali, ma erano esacerbate anche dalle lotte interne tra le stesse famiglie nobiliari. In questo clima di instabilità sociale, le rivalità tra i nobili portarono a frequenti devastazioni del territorio, alimentando ulteriormente il malcontento tra la popolazione.

Le tensioni iniziarono già nel 1509, quando un gruppo di contadini armati, guidati da Asquino e Federico Varmo, capi delle cernide, le milizie contadine, attaccò e incendiò il castello di Sterpo, di proprietà della famiglia Colloredo. Questo episodio non fu un caso isolato; diede inizio a una serie di scontri tra contadini e nobili che coinvolsero diverse zone del Friuli. La presa del castello di Sterpo, e la prigionia di Nicolò Colloredo, rappresentarono un segnale forte del crescente malcontento popolare.

Questi tumulti, tuttavia, non furono sufficienti a portare a un cambiamento immediato. Anzi, la tensione continuò a crescere, raggiungendo un punto di rottura nel 1511, anno in cui la situazione esplose definitivamente.

Esplosione della rivolta del Giovedì Grasso del 1511

Il giorno del Giovedì Grasso, il 27 febbraio 1511, si verificò l’episodio culminante della rivolta. Antonio Savorgnan, uno dei protagonisti di questa fase storica, riuscì a incanalare la rabbia popolare contro la nobiltà, istigando i contadini armati a saccheggiare le dimore dei nobili a Udine. In particolare, i bersagli furono le famiglie nemiche dei Savorgnan, come i della Torre e i Colloredo. La rivolta fu così brutale che i ribelli massacrarono molti membri della nobiltà, abbandonando i loro corpi per le strade, spesso spogliati e lasciati in balia dei cani.

Questa rivolta, nata dalla disperazione contadina, prese le sembianze di un vero e proprio massacro. I contadini, approfittando del clima di caos, invasero le case dei nobili. Saccheggiarono i beni e inscenarono macabre mascherate. Indossarono gli abiti dei defunti e imitando i loro modi, una rappresentazione cruda dello spirito di inversione delle parti tipico del carnevale.

Antonio Savorgnan, figura centrale della rivolta, utilizzò la sua posizione di comando sulle cernide per cavalcare il malcontento e cercare di ottenere vantaggi personali. La sua politica si basava su un forte legame clientelare con la popolazione. Concedeva privilegi ai contadini e confermava antichi diritti di sfruttamento delle terre, guadagnandosi il favore del popolo.

Tuttavia, nonostante l’apparente successo iniziale, la rivolta prese una piega inaspettata. Alcune fonti affermano che Savorgnan perse il controllo della situazione, mentre altre lo accusano di aver orchestrato la rivolta per eliminare i suoi avversari politici. Comunque sia, la figura di Savorgnan rimane controversa, oscillante tra il ruolo di eroe popolare e quello di abile stratega politico.

Testimonianza sulla rivolta del Giovedì Grasso

Gregorio Amaseo nel suo “Historia della crudel zobia grassa et altri nefarii excessi et horrende calamità intervenute in la città di Udine et patria del Friuli del 1511” cap. LXVI racconta che: 

  • Il traditor fece occider Vergan et Bernardin suoi carnefici“. “Il traditor” è Antonio Savorgnan e “suoi carnefici” è riferito al fatto che lavoravano per Antonio stesso.
  • “Li quali dui strangolati immediamente fono buttati nel profundissimo pozzo de San Zuanne li propinquo”. In piazzetta Belloni a Udine, esiste ancora oggi il pozzo di San Giovanni, testimone dei misfatti del tragico giovedì. All’epoca dei fatti il pozzo di San Giovanni si trovava “li propinquo” ovvero vicino al palazzo Savorgnan, oggi Piazza Venerio.

Da notare che Vergan e Bernardin erano filo Savorgnan, ma l’accusa venne fatta ricadere sugli avversari filo Del Torre.

L’ incarico di far sparire i due venne affidato al cugino Luigi Da Porto, figlio di Bernardino Da Porto ed Elisabetta Savorgnan, autore della novella che per prima narra il tormentato amore di Romeo e Giulietta.

La fine della rivolta e le sue conseguenze

Dopo i giorni di violenza, il governo veneziano intervenne per ristabilire l’ordine. Un contingente armato di cento cavalieri, provenienti da Gradisca, entrò in città il 1º marzo 1511, riuscendo a fermare le violenze più gravi. Tuttavia, la rivolta aveva già avuto un effetto devastante sulla regione, con interi villaggi che si sollevarono e numerosi castelli presi d’assalto. Il malcontento non si limitava più ai nobili locali, ma si rivolse anche contro i Savorgnan stessi, i quali persero gran parte del sostegno popolare.

Il 26 marzo dello stesso anno, un violento terremoto colpì la regione, causando ulteriori devastazioni e lasciando dietro di sé una scia di morte e distruzione. Gli eventi successivi, inclusi una serie di calamità naturali e una pestilenza, vennero interpretati dai contemporanei come segni del giudizio divino, una punizione per le violenze e i massacri avvenuti durante la rivolta.

Il governo veneziano istituì un tribunale speciale per punire i responsabili della rivolta, ma Antonio Savorgnan riuscì a fuggire, trovando rifugio tra le file imperiali. Tuttavia, la sua fuga non lo salvò dalla vendetta: nel 1512, una congiura organizzata dai nobili Colloredo e Spilimbergo portò al suo assassinio. La morte di Savorgnan non pose fine alle tensioni in Friuli, che continuarono sotto forma di vendette personali e faide tra le famiglie nobiliari.

L’eredità della rivolta del Crudele Giovedì Grasso rimase impressa nella memoria storica del Friuli. Un evento che, pur non avendo portato a un cambiamento immediato nelle condizioni dei contadini, segnò un momento di ribellione contro l’oppressione e l’ingiustizia.

Le immagini sono state prese da internet con licenza Creative Commons.

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